Serva di Dio Luisa Piccarreta
Ecco un’altra grande e pur nascosta figura di vittima di espiazione, consumata sull’altare quotidiano del proprio letto di dolore, portando sul proprio corpo una sofferenza, che le precluse le gioie della cosiddetta felicità terrena, ma per rivelarle le gioie più gratificanti, della vita dello spirito unito con Dio.
Luisa Piccarreta nacque a Corato (Bari) il 23 aprile 1865, quarta delle cinque figlie di Vito Nicola Piccarreta e Rosa Tarantino.
Trascorse la sua fanciullezza e adolescenza in una masseria agricola, di cui il padre era fattore, situata al centro delle Murge, in località Torre Desolata.
Ricevette la Prima Comunione e Cresima a nove anni e da quel momento imparò a rimanere in preghiera per ore intere; a undici anni si iscrisse all’Associazione delle Figlie di Maria.
Verso i tredici anni ebbe la visione di Gesù, che portando la Croce sulla via del Calvario e alzando gli occhi verso di lei, pronunziò: “Anima, aiutami”. Da allora si accese in lei un desiderio insaziabile di patire con Gesù le sue sofferenze, per la salvezza delle anime; a 16 anni fece il voto di offrirsi come vittima di espiazione.
Iniziarono per lei quelle sofferenze fisiche, dovute alle stimmate invisibili e agli attacchi del demonio, che aggiunte a quelle spirituali e morali, la portarono a vivere con eroismo le virtù cristiane.
Luisa per ricevere conforto ed aiuto per superare queste prove così sofferte, si rivolgeva con la preghiera alla Madonna. Subì fenomeni particolari, di cui il più eclatante fu quello che era soggetta ad una rigidità cadaverica, anche se dava segni di vita e non esistevano cure che potessero risolvere questa indicibile pena.
La famiglia si rivolse alla scienza medica, ritenendo questi fenomeni una malattia, ma come detto senza successo e allora fu interpellato un sacerdote, provvisoriamente ritornato nella sua famiglia, l’agostiniano padre Cosma Loiodice, il quale recatosi dall’inferma, tracciò un segno di croce su quel corpo immobile, che fra la meraviglia dei presenti, fece riacquistare all’inferma le sue normali funzioni.
Partito il padre agostiniano, ogni giorno veniva chiamato un sacerdote qualsiasi, che con un segno di croce la riportava alla normalità. Non fu compresa da tutti, anzi gli stessi sacerdoti la consideravano una ragazza esaltata, una nevrotica che voleva attirare l’attenzione degli altri su di sé.
Una volta la lasciarono in quello stato cadaverico per più di venti giorni; tutto questo era cominciato da quando si era offerta come vittima d’espiazione e ogni mattina al risveglio si trovava rigida, immobile, rannicchiata sul suo letto e nessuno riusciva a stenderla o farle fare qualche movimento; solo il segno della croce del sacerdote, riusciva a sbloccarla.
Non aveva un direttore spirituale, perché Gesù le parlava interiormente, correggendola e conducendola verso le vette più alte della perfezione cristiana. Quest’avvenimento non poteva passare inosservato, per cui una volta informato l’arcivescovo di Trani, mons. Giuseppe Bianche Dottula (1848-1892), avocò a sé il caso, delegando un confessore speciale per Luisa Piccarreta, nella persona di don Michele De Benedictus, il quale con la sua prudenza e saggezza, impose alla ragazza di Corato, dei limiti per cui non poteva fare niente senza il suo consenso; le ordinò di mangiare almeno una volta al giorno, anche se subito rimetteva il cibo ingerito.
Luisa doveva vivere solo della Divina Volontà. Padre Michele dal 1° gennaio 1889 le diede il permesso di rimanere a letto, dove rimase seduta per 70 anni, fino alla morte, ininterrottamente.
Il nuovo arcivescovo di Trani, mons. De Stefano (1898-1906) delegò come nuovo confessore di Luisa, don Gennaro De Gennaro, che lo fu per 24 anni. Questo sacerdote, intuendo il lavorio interno di Dio su quest’anima, le ordinò categoricamente di mettere per iscritto, tutto ciò che la Grazia Divina operava in lei.
Nonostante che avesse frequentato solo la prima elementare, Luisa Piccarreta cominciò il 28 febbraio 1899 a scrivere il suo diario, che consiste in un manoscritto raccolto in 36 volumi. L’ultimo capitolo fu scritto il 28 dicembre 1938, quando le fu ordinato di non scrivere più.
Ebbe dopo i primi due, altri due confessori sempre delegati dalla Curia arcivescovile, l’ultimo don Benedetto Calvi le fu vicino fino alla morte. All’inizio del Novecento incontrò sant'Annibale Maria Di Francia (1851-1927) un fondatore di Congregazioni di Messina, il quale fu suo confessore straordinario e censore dei suoi scritti, che venivano regolarmente esaminati ed approvati dalle autorità ecclesiastiche.
Sant'Annibale curò la pubblicazione dei suoi vari scritti, tra i quali ebbe successo il libro “L’orologio della passione”, stampato in cinque edizioni, le fece scrivere nel 1926, pure un quaderno di “Memorie d’infanzia”.
Il 7 ottobre 1928, si completò la costruzione a Corato della Casa delle suore della sua “Congregazione del Divino Zelo” e per adempiere al desiderio del fondatore (nel frattempo morto nel 1927 a Messina), Luisa Piccarreta fu trasferita in quel convento.
Dieci anni dopo tre dei suoi scritti furono messi all’Indice; quando seppe della condanna del sant’Uffizio, Luisa si sottomise subito al giudizio dell’autorità della Chiesa, consegnando all’incaricato romano tutti i diari manoscritti (ed oggi ancora conservati negli archivi vaticani) e riprovando lei stessa ciò che le veniva condannato negli scritti pubblicati.
Inoltre il 7 ottobre 1938, esattamente dopo dieci anni dalla sua entrata in quel convento, per disposizione dei superiori, dovette lasciarlo, sistemandosi in un’abitazione, dove trascorse gli ultimi nove anni della sua vita, assistita amorevolmente dalla sorella Angelina e da alcune pie donne.
Non possedeva quasi nulla e il lavoro al tombolo che faceva da tutta la vita, nei limiti delle sue possibilità fisiche, era appena sufficiente al sostentamento della sorella; lei invece i pochi grammi di cibo che mangiava, li rimetteva subito dopo.
Era un miracolo vivente, non aveva l’aspetto di una moribonda ma nemmeno di una persona sana, eppure non stava mai inoperosa. La sua giornata iniziava all’alba, quando arrivava il sacerdote a benedirla e celebrare la Messa (era un privilegio accordato da papa Leone XIII e confermato dal suo successore s. Pio X nel 1907).
Poi seguivano due ore di ringraziamento e preghiera e alle otto prendeva a ricamare; a mezzogiorno c’era il frugale pasto, come detto il più delle volte rimesso; nel pomeriggio vi erano alcune ore di lavoro, poi veniva recitato il Rosario e alle otto di sera iniziava a scrivere il suo diario e circa a mezzanotte si addormentava, per ritrovarsi al mattino di nuovo rigida, rannicchiata con la testa piegata a destra; sempre in preda a questo stranissimo fenomeno inspiegabile.
Dopo quindici giorni di malattia (l’unica clinicamente accertata) Luisa Piccarreta morì a Corato il 4 marzo 1947, nonostante tutto a 81 anni. Morì all’alba prima del risveglio, per cui rimase seduta sul letto nella posizione avuta per tutta la vita e pertanto non fu possibile stenderla e venne portata al cimitero in quella posizione.
I funerali videro la partecipazione di una immensa folla, dopo pochi anni i suoi resti furono traslati dal locale cimitero, nella parrocchia di Santa Maria Greca.
Con l’approvazione della Santa Sede del 28 marzo 1994, l’arcivescovo di Trani - Barletta - Bisceglie, mons. Cassati, aprì il processo diocesano per la sua beatificazione.
Il 29 ottobre 2005, con una solenne cerimonia nella Chiesa Matrice di Corato, l'Arcivescovo di Trani, Mons. Giovanni Battista Pichierri, ha concluso la fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione della Serva di Dio, trasmettendo gli atti al competente dicastero della Santa Sede per il prosieguo dell'iter canonico.
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